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venerdì 13 novembre 2009

Storia di un mercenario serbo in Iraq


“Non posso dire che la parola piacere sia quella che descrive meglio il mio lavoro, ma è sicuramente quella che si avvicina di più a quello che provo durante un’operazione. Certo, i soldi sono importanti e sono anche tanti, ma sono più o meno quelli che potrei guadagnare facendo un altro lavoro”. Il mestiere della guerra. A parlare, in un’intervista al quotidiano serbo Blic, è Gabrijel. Non è il suo vero nome, ma quello di battaglia. Il suo nome da mercenario. Questo è il mestiere di Gabrijel, ex militare dei corpi speciali jugoslavi nato a Sarajevo. Negli ultimi 4 anni della sua vita ha lavorato in Iraq, come contractor per alcune delle tante imprese che hanno ottenuto appalti nel martoriato paese arabo dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Un anno fa a Obrenovac, assieme a un altro serbo che ha condiviso con lui il periodo tra il Tigri e l’Eufrate, ha aperto un campo di addestramento per mercenari, o per contractor, o per vigilanti privati, come si fanno chiamare loro, quasi tutti veterani del conflitto nei Balcani degli anni Novanta. La Serbia non ha una legislazione precisa in materia, e questo permette all’impresa di Gabrijel di fare affari d’oro. “Il guadagno mensile in un paese come l’Iraq è di circa 4mila dollari Usa per chi fa la scorta ai convogli”, racconta Gabrijel, “ma arriva anche a 30mila dollari mensili per quelli che fanno le guardie del corpo ai dirigenti dell’azienda. Per arrivare in Iraq esistono vie legali e illegali. Una volta sono arrivato a Baghdad con una lettera d’accredito dell’azienda per la quale lavoravo che mi garantiva un visto d’ingresso valido un mese, ma la volta dopo sono entrato illegalmente dalla frontiera turca, sapendo che dovevo solo fare in modo di arrivare a Baghdad e poi là avrei trovato un lavoro. E così è stato. La cosa più importante, se si vuole andare a lavorare in Iraq, è quella di avere motivazioni più forti del denaro”. Gabrijel racconta di aver incontrato “molte persone provenienti dall’ex Jugoslavia: kosovari, bosniaci, serbi, macedoni. La maggior parte di loro lavorava per la Halliburton, perché siamo conosciuti come ottimi meccanici. Ma il vero business nella logistica lo fanno filippini, cingalesi e indiani. Noi, alla fine, preferiamo la sicurezza”.Il business della guerra. Un buon affare dunque, la guerra in Iraq. Sia per chi ci va come Gabrijel per provare il ‘piacere’ che gli da il suo lavoro, sia per chi magari ci va solo perché trovare un posto di lavoro in Serbia è una chimera. Stesso discorso vale per i contractor provenienti da tutto il mondo. Ma quanti sono i contractor in Iraq? Al tempo del rapimento dei 4 italiani si era parlato molto di questa nuova figura del combattente privato, per il quale viene usata la stessa definizione che viene utilizzata anche per gli impiegati civili al seguito delle truppe. I combattenti veri e propri, quelli che si occupano della sicurezza, quanti sono in Iraq? Una stima precisa è impossibile, trattandosi di contrattazioni private, ma nel 2002 la professoressa Gabriella Pagliani nel suo saggio Il mestiere della guerra, calcolava che il valore degli appalti riguardanti società di contractor privati con stabili rapporti con l'amministrazione Usa avesse raggiunto i 170 milioni di dollari, pari a un terzo del prodotto interno lordo dell'intero continente africano. Circa un anno fa è scoppiato un contenzioso tra la Custer Battles, una delle principali aziende della sicurezza privata - suo l’appalto per l’aeroporto di Baghdad - e l’amministrazione Usa. I suoi dipendenti e i militari regolari si sono sparati addosso l’un l’altro. E l’episodio non è stato neanche isolato, ma sono stati molti i faccia a faccia tra militari e mercenari: secondo i militari, i privati finiscono per complicargli la vita. Secondo i mercenari, i militari sono invidiosi delle loro paghe. Quale che sia il motivo, la guerra in Iraq sarà ricordata anche per i contractor, per aver portato tra gli iracheni persone come Gabrijel, in cerca del piacere che gli dà il suo lavoro.

Riferimento Link:http://it.peacereporter.net/articolo/5899/Il+fascino+perverso+della+guerra

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